Zucchero: Iruben Me, dietro le quinte (C. Rustici)

maxpiano69 27-05-25 17.37
Ripubblico da un post FB di Corrado Rustici

Hai mai ascoltato "Iruben Me" e ti sei chiesto come sia stato realizzato quel brano?

Un insolito (per me) breve dietro le quinte👇

"Il brano mi fu presentato per la prima volta, da Zucchero, una mattina in studio . Avevamo scelto lo studio Real World (di Peter Gabriel) per le registrazioni dell’album Oro, Incenso e Birra, perché rappresentava, in quel momento, l’apoteosi delle tecnologie di registrazione a disposizione .

Lo studio di Peter vantava molteplici spazi, con sonorità diverse, dei quali feci ampio uso per registrare batterie, chitarre, voci, eccetera .

A differenza di altri brani, che Zucchero aveva già provinato con alcune idee di ritmiche programmate su una drum machine, Iruben me era spoglia di arrangiamento e mancava di direzione.

Una volta scelta la velocità del brano, chiesi a David Sancious (tastierista) di trovare un suono etereo, nel quale si potesse percepire “aria”, con cui suonare la progressione di accordi della strofa . Nel mio immaginario, volevo ricreare la magia del brano dei 10CC, I’m not in love .

Così, mentre David Sancious ricercava il suono, cominciai a pensare a una soluzione ritmica che fosse interessante, che scandisse il tempo, ma che non si intromettesse negli spazi larghi della melodia . Erano i primi tempi in cui si utilizzava la tecnologia digitale applicata alla musica (Fairlight, Synclavier) e avevo appena ricevuto da Akai il loro primo campionatore polifonico (S900), ideato per le masse . Proprio in quel periodo, ispirato da John Cage e dalla sua musica concreta, avevo creato una libreria di suoni (che avevo in memoria nel mio fido Mac Plus) recandomi in un cantiere della spazzatura, nella periferia di San Francisco, per registrare suoni metallici o insoliti, che potessero essere usati come seme sonoro, nella creazione di ritmiche o altro . Caricai nell’Akai alcuni di questi suoni e cominciai a “trattarli” prima con EQ, passando poi attraverso l’Eventide H3000 e il leggendario Harmonizer .

Visto che la ritmica era, volutamente, scarna e semplice, usai la modulazione per far sì che il delay di un paio di questi suoni scendesse di tonalità e che non si ripetesse esattamente a tempo, creando l’illusione di cambiamento, mascherandone la ripetitività . Mancavano ancora delle frequenze alte, ma non volevo usare piatti o percussioni, volevo qualcosa che suggerisse intimità e fragilità per l’atmosfera iniziale del brano, per cui chiesi alla segretaria dello studio di venire a registrare alcuni gemiti e sospiri, che campionai e con i quali completai la ritmica iniziale del brano . Decisi infine di aggiungere al brano una intro di synth, a cui sovrapposi il suono di un temporale, che registrammo nella campagna circostante allo studio, per creare subito un’atmosfera nostalgica .

(continua...)
maxpiano69 27-05-25 17.37
A questo punto, avevo il “mood” del brano . Poi, come facevamo di solito, cominciammo a costruire la struttura, aggiungendo il piano, Polo Jones al basso, George Perry alla batteria e io alla chitarra . Nello sviluppare la dinamica del brano, introdussi elementi blues (frasi di chitarra) e incrementai poco alla volta il ruolo della batteria, con colpi di piatto e tamburello, per arrivare al primo grande cambiamento del brano, lo special (o bridge, come si usa chiamarlo negli USA) . Qui introdussi, per la prima volta, la cassa di batteria e una parte di flauti synth, che scandisce il tempo in quarti, senza l’uso di percussioni, per creare la tensione e il rilascio (Push&Pull) del solo di chitarra .

I soli e le parti strumentali all’interno di un brano hanno un ruolo ben definito . Nella musica rock, o pop, dagli anni ’60 fino alla fine degli anni ’90, era consueto avere un solo (spesso di chitarra elettrica) o una parte strumentale all’interno del brano, per spezzare la ripetitività e per far riposare l’orecchio dell’ascoltatore dal push della voce e dalla linea melodica del ritornello, che veniva poi reintrodotta e riscoperta nella parte finale del brano . Il solo è come una canzone all’interno di una canzone, e quindi ha una sua dinamica e una sua fase di tensione e rilascio emotivo, non si tratta di un semplice showcase della bravura (o meno) del musicista che lo esegue .

Dopo il solo, svuotai il ritornello per creare tensione in crescendo, che culmina con interventi di batteria e con l’introduzione di tutta la band, nella parte “heavy” del finale del brano . La canzone si chiude con un accordo di synth sostenuto, che va a dissolversi in un’atmosfera simile a quella dell’intro."

Da "Breviario del produttore artistico" - 2024
EADgbe 27-05-25 18.00
Affascinante.
Grazie!
maxtub 27-05-25 22.38
Thanks
cotosso 28-05-25 12.24
grazie!
Ilaria_Villa 28-05-25 17.19
Mille grazie e thanks strameritato.
fefepa 28-05-25 18.51
mooolto interessante ! grazie !
MaxTerzano 29-05-25 15.25
@ maxpiano69
A questo punto, avevo il “mood” del brano . Poi, come facevamo di solito, cominciammo a costruire la struttura, aggiungendo il piano, Polo Jones al basso, George Perry alla batteria e io alla chitarra . Nello sviluppare la dinamica del brano, introdussi elementi blues (frasi di chitarra) e incrementai poco alla volta il ruolo della batteria, con colpi di piatto e tamburello, per arrivare al primo grande cambiamento del brano, lo special (o bridge, come si usa chiamarlo negli USA) . Qui introdussi, per la prima volta, la cassa di batteria e una parte di flauti synth, che scandisce il tempo in quarti, senza l’uso di percussioni, per creare la tensione e il rilascio (Push&Pull) del solo di chitarra .

I soli e le parti strumentali all’interno di un brano hanno un ruolo ben definito . Nella musica rock, o pop, dagli anni ’60 fino alla fine degli anni ’90, era consueto avere un solo (spesso di chitarra elettrica) o una parte strumentale all’interno del brano, per spezzare la ripetitività e per far riposare l’orecchio dell’ascoltatore dal push della voce e dalla linea melodica del ritornello, che veniva poi reintrodotta e riscoperta nella parte finale del brano . Il solo è come una canzone all’interno di una canzone, e quindi ha una sua dinamica e una sua fase di tensione e rilascio emotivo, non si tratta di un semplice showcase della bravura (o meno) del musicista che lo esegue .

Dopo il solo, svuotai il ritornello per creare tensione in crescendo, che culmina con interventi di batteria e con l’introduzione di tutta la band, nella parte “heavy” del finale del brano . La canzone si chiude con un accordo di synth sostenuto, che va a dissolversi in un’atmosfera simile a quella dell’intro."

Da "Breviario del produttore artistico" - 2024
grazie per questo prezioso documento - è una delle tante prove di quanto sia complesso e meticoloso il lavoro di chi scrive e poi arrangia i pezzi - è vero che la tecnologia dia una mano, ma è anche vero che bisogna saperla usare, nel momento giusto e al posto giusto.

Thanks per te