Professionalità richieste

  • wildcat80
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17-02-21 20.27

Io ho sempre portato a casa ottimi risultati, a scuola e in università, ma se devo parlare del mio metodo di studio mi viene da ridere.
Credo che il metodo di studio nasca a livello embrionario nella scuola media, per delinearsi meglio alle superiori: qui entra in gioco la bontà degli insegnanti, devono dare gli input giusti al come fare piuttosto che nozioni, discorso valido principalmente per scuole propedeutiche alla prosecuzione degli studi, ma in realtà avere un metodo di studio, che poi non è altro che l'analisi dei problemi, è cosa utile sempre nella vita.
Il mio metodo non consisteva tanto in appunti, schemi, riassunti, tabelle di marcia, ma aveva e ha tutt'ora un sano fondamento: trovare una logica al problema, costruire una mappa del problema e visualizzarla.
Sono sempre stato avvantaggiato dalla memoria, una memoria logica e visiva, piuttosto che una memoria basata sulla ripetizione.
I miei libri arrivavano a fine sessione distrutti esternamente, ma intonsi dentro: non una sottolineatura o una nota a margine.
Da una prima lettura ricavavo il percorso, e spesso non bastava un testo.
Ricordo con piacere gli esami delle chirurgie, vissuti con trasporto perché era quello che avrei voluto fare: due trattati di chirurgia, un testo di semeiotica, uno di anatomia patologica, mentre in media veniva preparato sugli appunti di lezione.
Metodo che senza dubbio mi ha portato ad incamerare conoscenze che ancora oggi mi tornano utili, ma che in una sessione mi ha portato male.
Avevo l'esame con un tizio che si occupava prevalentemente di esofago, che non era in programma (ah l'università italiana), e mi aveva chiesto delle cose di chirurgia tiroidea che aveva spiegato a lezione: concetti base ovviamente corretti, aspetti terapeutici un pochino superati.
Io avevo fatto riferimenti ad altro e ovviamente non andava bene, avevo preso un 28 che sono stato costretto a rifiutare (mi serviva la lode per la specialità), così ho ridato l'esame col preside che peraltro si occupava prevalentemente di tiroide, che chiedeva sempre, prendendo la lode senza colpo ferire.
  • Raptus
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17-02-21 21.40

@ wildcat80
Io ho sempre portato a casa ottimi risultati, a scuola e in università, ma se devo parlare del mio metodo di studio mi viene da ridere.
Credo che il metodo di studio nasca a livello embrionario nella scuola media, per delinearsi meglio alle superiori: qui entra in gioco la bontà degli insegnanti, devono dare gli input giusti al come fare piuttosto che nozioni, discorso valido principalmente per scuole propedeutiche alla prosecuzione degli studi, ma in realtà avere un metodo di studio, che poi non è altro che l'analisi dei problemi, è cosa utile sempre nella vita.
Il mio metodo non consisteva tanto in appunti, schemi, riassunti, tabelle di marcia, ma aveva e ha tutt'ora un sano fondamento: trovare una logica al problema, costruire una mappa del problema e visualizzarla.
Sono sempre stato avvantaggiato dalla memoria, una memoria logica e visiva, piuttosto che una memoria basata sulla ripetizione.
I miei libri arrivavano a fine sessione distrutti esternamente, ma intonsi dentro: non una sottolineatura o una nota a margine.
Da una prima lettura ricavavo il percorso, e spesso non bastava un testo.
Ricordo con piacere gli esami delle chirurgie, vissuti con trasporto perché era quello che avrei voluto fare: due trattati di chirurgia, un testo di semeiotica, uno di anatomia patologica, mentre in media veniva preparato sugli appunti di lezione.
Metodo che senza dubbio mi ha portato ad incamerare conoscenze che ancora oggi mi tornano utili, ma che in una sessione mi ha portato male.
Avevo l'esame con un tizio che si occupava prevalentemente di esofago, che non era in programma (ah l'università italiana), e mi aveva chiesto delle cose di chirurgia tiroidea che aveva spiegato a lezione: concetti base ovviamente corretti, aspetti terapeutici un pochino superati.
Io avevo fatto riferimenti ad altro e ovviamente non andava bene, avevo preso un 28 che sono stato costretto a rifiutare (mi serviva la lode per la specialità), così ho ridato l'esame col preside che peraltro si occupava prevalentemente di tiroide, che chiedeva sempre, prendendo la lode senza colpo ferire.
Questo problema non c'era ad ingegneria emo

Dopo il primo esame capivi che avresti dovuto accettare qualsiasi voto >= 18 per poterti laureare. Il problema non era il voto ma passare l'esame,infatti una cosa che non ho mai compatito era quella che si studiava più per l'esame e non la materia, alla fine studiavi solo l'esame... E non era colpa tua erano i professori stessi a costringerti a farlo.
Tornassi indietro farei una materia scientifica fatta COI CRISMI, mosso al 100% dalla passione, un po' come avete fatto voi.
Noi ci abbiamo messo sia l'anima ma anche e soprattutto il deretano emo
  • wildcat80
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18-02-21 09.30

@ Raptus
Questo problema non c'era ad ingegneria emo

Dopo il primo esame capivi che avresti dovuto accettare qualsiasi voto >= 18 per poterti laureare. Il problema non era il voto ma passare l'esame,infatti una cosa che non ho mai compatito era quella che si studiava più per l'esame e non la materia, alla fine studiavi solo l'esame... E non era colpa tua erano i professori stessi a costringerti a farlo.
Tornassi indietro farei una materia scientifica fatta COI CRISMI, mosso al 100% dalla passione, un po' come avete fatto voi.
Noi ci abbiamo messo sia l'anima ma anche e soprattutto il deretano emo
Guarda di tutti gli amici ingegneri che ho, la stragrande maggioranza di quelli laureati in corso non si è laureata con voti alti, e non ha peraltro avuto problemi a trovare lavoro.
Se noi ci lamentiamo di aver fatto un'università che ti dava una preparazione teorica e basta, credo che gli ingegneri abbiano buon titolo per lamentarsi di un'università ancora più retrograda, in cui è impossibile laurearsi bene e in tempi giusti.
Un po' come il mio professore di fisica del triennio: pazzo furioso, i suoi voti erano, non scherzo (scusate per i caratteri mancanti) radice di 3/2, pigreco/2, 1+. Oppure quando abbiamo fatto un compito in classe andato tragicamente, se ne era uscito con "è stata una Caporetto, ma sono stato buono" al che gli chiedemmo se aveva annullato il compito, e lui rispose "no, invece di 2 ho dato 3 a tutti"... O ancora quando alla verifica del debito io avevo preso 7,5 e tutti quelli nella fila dietro di me mezzo voto a scalare "perché lo so che avete tutti copiato da quelli davanti"... E per magia, alla maturità, con l'estrazione di fisica come seconda prova, cambio scala di valutazione e il mio 6 stiracchiato era diventato un 9 come voto di presentazione: da una classe di pigreco/2 eravamo diventati una classe con una media del 7,5.
Gli abbiamo chiesto spiegazioni e la sua risposta era stata semplice: mi diverto, sono abituato alla, università (era docente a contratto a Milano), se vi do i voti che meritate smettete di studiare.
E alla prova, con quesito ministeriale sbagliato (c'era un argomento che non era nei programmi ministeriali, grande classico) ci aveva aiutato tutti a fare la prova in maniera egregia.
Nella sua follia, Bruno oltre al simpatico ricordo dei voti e del personaggio che era, credo che alla fine sia stato determinante anche lui.

18-02-21 10.16

raptus ha scritto:
un metodo di studio è si importante ma va adattato anche secondo la materia che stai studiando, purtroppo non c'è una regola generale per ogni cosa.


E' ovvio che ognuno debba trovare il PROPRIO metodo di studio (c'è chi ha una buona memoria visiva, chi impara facilmente a memoria liste di nomi, ecc.) e deve adattarlo alla materia che sta studiando, infatti ho SEMPRE scritto UN metodo di studio non IL metodo di studio, emo emo ho solamente FATTO UN ESEMPIO per farmi capire!!! emo emo emo

Non ne esiste uno solo uguale per tutti, ma ognuno deve trovare il proprio.

Mi rendo solamente conto che se io avessi avuto un metodo di studio durante le Scuole Superiori avrei fatto MOLTA meno fatica ed avrei impiegato molto meno tempo per studiare (piuttosto di imparare a memoria centinaia e centinaia di pagine impiegandoci ore e ore e ore per giorni e giorni e giorni o passando notti insonni...) ed avrei potuto dedicare un po' del mio tempo libero anche ad altro, invece, ad esempio, la Patente, non l'ho presa a 18 anni, ma solo DOPO la Maturità (a 19 anni e mezzo, quasi 20), perché, durante le Scuole Superiori, non avevo proprio tempo per studiare altro... emo

(Meno male che il Pianoforte emo l'ho studiato qualche anno prima, nei 5 anni di Scuole Elementari e nei 3 anni di Scuole Medie con un Maestro privato...).

Purtroppo, a Scuola, gli insegnanti , non ti insegnano uno o più metodi di studio, dicono solamente: "Studiate da pagina 149 a pagina 353..." emo

Dopo le Superiori, invece, un amico di famiglia mi ha insegnato qualche metodo di studio e di memorizzazione e, infatti, all'Università, sono andato avanti come un treno (fallendo anche un esame, ma può capitare, l'ho ridato la sessione dopo), ma finendo comunque in tempo, senza mai andare fuori corso...
  • Raptus
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18-02-21 13.42

Direi, beato te che hai avuto un maestro privato. Ringrazia pure la tua famiglia, non sono molti quelli che hanno potuto permetterselo, per fortuna anche questa cosa col tempo sta migliorando.

Tornando a noi, stai calmino che nessuno voleva dirti niente emo marò ragazzi ma sta pandemia ha veramente logorato i nervi di tutti... non si può più scrivere niente?

Riguardo ai professori delle superiori, Wildcat, ti capisco: anche io ho avuto dei professori assurdi. Soprattutto perché all'esame di maturità hanno preferito premiare chi ha studiato SOLO per quell'esame e non ha fatto niente tutti gli anni rispetto a chi è sempre stato diligente.
Una compagna di classe (gnocca ma non credo importasse... o forse si?) aveva la media del 4 tutti e cinque gli anni e all'esame di maturità ha preso 90/100.
Col senno di poi forse l'han fatto per aiutare quelli che non avrebbero mai voluto proseguire gli studi... chissà.

18-02-21 13.56

raptus ha scritto:
Tornando a noi, stai calmino che nessuno voleva dirti niente marò ragazzi ma sta pandemia ha veramente logorato i nervi di tutti... non si può più scrivere niente?


"...AR CAVALIERE NERO NUN JE DEVI CAGA' ER CAZZO!!!" emo emo emo emo emo

https://www.youtube.com/watch?v=7Lb5ZErTMZU
  • anonimo
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18-02-21 21.48

@ Raptus
Perché anonimo?

Comunque il discorso "fallimento" è una fissa tutta italiana. Fino ai 30 anni secondo me sei libero di fare tutte le cazzate del mondo.
Sbagli ad andare all'estero a 20 anni? Chissene, torni in Italia con un CV con scritto che sai vivere in un paese straniero.
Sbagli indirizzo scolastico? Chissene tanto l'importante è fare un percorso che ti porti ad essere appetibile per il mercato, fino ai 30 anni non conta l'età (nemmeno in Italia per fortuna).

La storia del fallimento è tutta una brutta abitudine italiana usata come scusante per deresponsabilizzare le persone.
Fallimento.... successo...
Per quante ne ho viste fino a oggi sono giunto alla conclusione che la volontà non basta, ci vuole talento (30%) e soprattutto fortuna (70%). Ciò non significa demoralizzarsi o lasciar perdere, ma comprendere che se un percorso non si realizza o non dà i frutti sperati, è inutile perseverare, meglio fare altro.
  • Raptus
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18-02-21 22.41

@ anonimo
Fallimento.... successo...
Per quante ne ho viste fino a oggi sono giunto alla conclusione che la volontà non basta, ci vuole talento (30%) e soprattutto fortuna (70%). Ciò non significa demoralizzarsi o lasciar perdere, ma comprendere che se un percorso non si realizza o non dà i frutti sperati, è inutile perseverare, meglio fare altro.
Certamente, però in Italia (da nord a sud) è diffusissima la moda del "devi fare la scelta di vita", addirittura ho sentito gente dire che le scuole superiori sono fondamentali (vi rendete conto? Le superiori!? Le scuole che uno sceglie a 14 anni quando non ha la minima idea nemmeno di cosa è in grado di fare)...
Poi c'è la fissa che a 40 si è già vecchi e che quindi non si può cambiare lavoro, insomma che devi pianificarti la tua vita a partire dai 18 anni, sennò poi "è troppo tardi".
E' una cagata pazzesca, come direbbe il mitico Fantozzi, Villaggio l'aveva vista giusta e infatti ha sempre combattuto questa retorica italiana anacronistica e fuori dal mondo.

Anzi, rettifico, la scelta di vita a partire da giovanissimi va pianificata solo se un ragazzo dimostra di avere spiccato talento per una particolare cosa, questo è sacrosanto. Ma io parlo del restante 95% della popolazione, insomma chi a 14 anni aveva in mente solo videogiochi e prime cotte.
  • anonimo
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19-02-21 01.15

@ Raptus
Certamente, però in Italia (da nord a sud) è diffusissima la moda del "devi fare la scelta di vita", addirittura ho sentito gente dire che le scuole superiori sono fondamentali (vi rendete conto? Le superiori!? Le scuole che uno sceglie a 14 anni quando non ha la minima idea nemmeno di cosa è in grado di fare)...
Poi c'è la fissa che a 40 si è già vecchi e che quindi non si può cambiare lavoro, insomma che devi pianificarti la tua vita a partire dai 18 anni, sennò poi "è troppo tardi".
E' una cagata pazzesca, come direbbe il mitico Fantozzi, Villaggio l'aveva vista giusta e infatti ha sempre combattuto questa retorica italiana anacronistica e fuori dal mondo.

Anzi, rettifico, la scelta di vita a partire da giovanissimi va pianificata solo se un ragazzo dimostra di avere spiccato talento per una particolare cosa, questo è sacrosanto. Ma io parlo del restante 95% della popolazione, insomma chi a 14 anni aveva in mente solo videogiochi e prime cotte.
Vero. Noto nelle nuove generazioni un'ansia della ricerca del percorso scolastico/accademico perfetto o perfettibile, che noi - per contraltare forse troppo ingenui - non avevamo. È anche vero che è cambiato tutto: mille facoltà, mille opportunità (web, viaggi low cost, etc) ed è altrettanto vero che la globalizzazione capitalistica ha causato una compressione dei salari, in particolare negli stati cosiddetti periferici come Italia Grecia Portogallo... Pertanto è inutile pensare che lo sbocco lavorativo sia dato dalla laurea, essa semmai può rappresentare un toolbox e un biglietto da visita, ma poi devi confrontarti col laureato cinese, indiano, africano, etc. che sono disposti a lavorare per paghe più basse rispetto a quelle a cui il nostro ceto medio era abituato. (Per ceto medio intendo anche avvocati, medici, ingegneri, etc.)
Inoltre il mondo evolve in fretta e molti lavori diventano velocemente obsoleti. Basta fare un raffronto tra i libri di testo scolastici di 30 anni fa e quelli odierni... stesso discorso per molte competenze sorpassate dall'automazione.
Oggi si produce a un ritmo impensabile soltanto 30-40 anni fa. La ricchezza oggi è concentrata in pochissime mani che decidono sul resto del mondo. Per certi versi, a diritti sociali, siamo tornati a inizio secolo scorso
Insomma... gli ostacoli per chi affronta un percorso di studio sono molteplici e non si esauriscono nella fase formativa.
Poi certo, se uno ha l'arcinoto santo in paradiso i problemi non si pongono, la strada è sempre in discesa.
  • Raptus
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20-02-21 11.15

Diciamo che l'intera offerta scolastica è rimasta indietro a 40 anni fa. Sfatiamo questi miti:
1) Non è possibile decidere del proprio destino a 14 anni.
2) Non è possibile decidere del proprio destino nemmeno a 18.
3) Dobbiamo rendere la scuola elastica perché ormai è elastico il mondo del lavoro e la vita stessa, non esistono percorsi predefiniti.
4) Solo i talenti che si riconoscono fin da giovanissimi hanno diritto ad un percorso definito, vanno supportati a prescindere dallo status sociale
5) Le scuole professionali di alto livello sono anacronistiche, parlo degli ITIS, secondo me dovrebbero scomparire, semmai renderei più elastico il passaggio tra licei e scuole professionalizzanti, così da mettere tutti allo stesso livello, se uno vuole continuare a studiare può farlo senza trovarsi un gap enorme con chi ha scelto (sbagliando) di fare l'ITIS perché spinto da generazioni precedenti che vivevano in un altro mondo. Non è possibile buttare nel cesso 5 anni di superiori perché a 14 non sapevi nemmeno cos'è il lavoro, sono gli anni più importanti della vita.
6) Mi sembra che il modello anglosassone sia più o meno tarato sul modello che sto descrivendo, perché non lo copiamo?
7) Fino ai 30 anni si è liberi di provare ogni esperienza della vita, anzi lo si deve fare. Si vede troppo chi ha fatto solo una cosa nella vita e chi ha visto il mondo, lo si nota in ogni campo.
8) A 40 anni non si è vecchi, soprattutto per il mondo del lavoro. Se alcune aziende lo pensano bisogna fare in modo che non lo pensino più, altrimenti moriamo tutti.
  • paolo_b3
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20-02-21 13.15

@ Raptus
Diciamo che l'intera offerta scolastica è rimasta indietro a 40 anni fa. Sfatiamo questi miti:
1) Non è possibile decidere del proprio destino a 14 anni.
2) Non è possibile decidere del proprio destino nemmeno a 18.
3) Dobbiamo rendere la scuola elastica perché ormai è elastico il mondo del lavoro e la vita stessa, non esistono percorsi predefiniti.
4) Solo i talenti che si riconoscono fin da giovanissimi hanno diritto ad un percorso definito, vanno supportati a prescindere dallo status sociale
5) Le scuole professionali di alto livello sono anacronistiche, parlo degli ITIS, secondo me dovrebbero scomparire, semmai renderei più elastico il passaggio tra licei e scuole professionalizzanti, così da mettere tutti allo stesso livello, se uno vuole continuare a studiare può farlo senza trovarsi un gap enorme con chi ha scelto (sbagliando) di fare l'ITIS perché spinto da generazioni precedenti che vivevano in un altro mondo. Non è possibile buttare nel cesso 5 anni di superiori perché a 14 non sapevi nemmeno cos'è il lavoro, sono gli anni più importanti della vita.
6) Mi sembra che il modello anglosassone sia più o meno tarato sul modello che sto descrivendo, perché non lo copiamo?
7) Fino ai 30 anni si è liberi di provare ogni esperienza della vita, anzi lo si deve fare. Si vede troppo chi ha fatto solo una cosa nella vita e chi ha visto il mondo, lo si nota in ogni campo.
8) A 40 anni non si è vecchi, soprattutto per il mondo del lavoro. Se alcune aziende lo pensano bisogna fare in modo che non lo pensino più, altrimenti moriamo tutti.
Guarda, io ho fatto l'ITIS, ma non mi sento colto sul vivo.

L'ITIS dei miei tempi funzionava perchè era chiaro l'orientamento economico-produttivo della società. Tra 5 anni o 10 anni cosa faremo? Ci sono una serie di nodi che stanno venendo al pettine e il Covid fa da catalizzatore.

La scuola purtroppo è al traino della classe dirigente dell'industria e soffre delle stesse crisi di identità.
  • Raptus
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20-02-21 13.46

@ paolo_b3
Guarda, io ho fatto l'ITIS, ma non mi sento colto sul vivo.

L'ITIS dei miei tempi funzionava perchè era chiaro l'orientamento economico-produttivo della società. Tra 5 anni o 10 anni cosa faremo? Ci sono una serie di nodi che stanno venendo al pettine e il Covid fa da catalizzatore.

La scuola purtroppo è al traino della classe dirigente dell'industria e soffre delle stesse crisi di identità.
L'ITIS ha funzionato fino alla tua generazione perché il mondo del lavoro era in grado di assorbire i ragazzi che uscivano, la figura del "perito" esisteva ancora e a molti ragazzi (e famiglie) faceva gola poter iniziare a lavorare a 19 anni e fare pure un lavoro dignitoso (perito = tecnico specializzato).
Con la mia ha cominciato a scricchiolare, sono rimasto, come tutta la mia generazione, preso in giro.
Ho iniziato l'ITIS che il mondo del lavoro ancora ci voleva, apparentemente, ho terminato l'ITIS col mondo del lavoro che preferiva laureati per fare il lavoro dei periti e dove l'unica ambizione che potevi avere sarebbe stata fare l'operaio base (con tutto il rispetto eh ma alle medie questo mica lo avevano detto all'orientamento).
Purtroppo l'evoluzione del mondo del lavoro ha portato a rendere le lauree un requisito quasi necessario per poter accedere a quasi tutte le mansioni, sminuendone perfino la valenza (io stesso non sto svolgendo il lavoro di un vero ingegnere). Il mondo del lavoro si è evoluto in un modo dove non c'è spazio per le vie di mezzo come gli ITIS, dove non sei né carne né pesce e a me quella sensazione ha dato un disagio enorme.
Infatti alla fine dei cinque anni ci siamo divisi a metà: io ero tra quelli che han scelto di continuare a studiare, il resto è andato a fare l'operaio in fabbrica. Che mi risulti nessuno dei miei compagni di classe fa "il perito".
  • mike71
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21-02-21 19.56

raptus ha scritto:
L'ITIS ha funzionato fino alla tua generazione perché il mondo del lavoro era in grado di assorbire i ragazzi che uscivano, la figura del "perito" esisteva ancora e a molti ragazzi (e famiglie) faceva gola poter iniziare a lavorare a 19 anni e fare pure un lavoro dignitoso (perito = tecnico specializzato).

In alcuni casi, per fortuna, facendo l'istituto tecnico si trova lavoro https://torino.repubblica.it/cronaca/2020/07/08/news/ragazza_elettricista_enel_assunta_subito_dopo_il_diploma-261253313/

Se han fatto l'articolo di un giornale significa che e` una rarità. Come dici te, il problema e` che le aziende preferiscono assumenre un laureato, magari con la magistrale, per poi metterlo a fare il lavoro di un perito, o peggio, assumono un laureato a prescindere delle competenze tecniche ottenute nel corso di laurea. Io lavoro nell'informatica, e la stragrande maggioranza dei mie colleghi non sono ne` ingegneri informatici, ne` laureati in scienze dell'informazione.
Va anche detto che quando ho iniziato a fare l'università lo sbocco di prestigio era di andare in Olivetti od in Telecom Italia mentre oggi come oggi il panorama informatico italiano non ha eccellenze come negli anni '90.
Ma questo direi essere particolare per l'informatica italiana. Per l'ingegneria tradizionale, le figure professionali di chi esce da un istituto tecnico rispetto a chi esce da ingegneria sono più separate, anche se in alcuni casi come per architetto, geometra ed ingegnere civile le competenze si sovrappongono parzialmente.
D'altro canto mi è capitato di vedere laureate in psicologia fare le segretarie, dopo aver fatto il classico, e mi son sempre domandato come mai non avessero fatto direttamente il corso di ragioneria o di segretaria di azienda.
  • Raptus
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22-02-21 13.58

@ mike71
raptus ha scritto:
L'ITIS ha funzionato fino alla tua generazione perché il mondo del lavoro era in grado di assorbire i ragazzi che uscivano, la figura del "perito" esisteva ancora e a molti ragazzi (e famiglie) faceva gola poter iniziare a lavorare a 19 anni e fare pure un lavoro dignitoso (perito = tecnico specializzato).

In alcuni casi, per fortuna, facendo l'istituto tecnico si trova lavoro https://torino.repubblica.it/cronaca/2020/07/08/news/ragazza_elettricista_enel_assunta_subito_dopo_il_diploma-261253313/

Se han fatto l'articolo di un giornale significa che e` una rarità. Come dici te, il problema e` che le aziende preferiscono assumenre un laureato, magari con la magistrale, per poi metterlo a fare il lavoro di un perito, o peggio, assumono un laureato a prescindere delle competenze tecniche ottenute nel corso di laurea. Io lavoro nell'informatica, e la stragrande maggioranza dei mie colleghi non sono ne` ingegneri informatici, ne` laureati in scienze dell'informazione.
Va anche detto che quando ho iniziato a fare l'università lo sbocco di prestigio era di andare in Olivetti od in Telecom Italia mentre oggi come oggi il panorama informatico italiano non ha eccellenze come negli anni '90.
Ma questo direi essere particolare per l'informatica italiana. Per l'ingegneria tradizionale, le figure professionali di chi esce da un istituto tecnico rispetto a chi esce da ingegneria sono più separate, anche se in alcuni casi come per architetto, geometra ed ingegnere civile le competenze si sovrappongono parzialmente.
D'altro canto mi è capitato di vedere laureate in psicologia fare le segretarie, dopo aver fatto il classico, e mi son sempre domandato come mai non avessero fatto direttamente il corso di ragioneria o di segretaria di azienda.
Con me sfondi una porta aperta, ho visto cose nell'informatica che voi umani...

Ho visto manager e capi tecnici laureati in filosofia, scienze naturali, scienze politiche.... 20 anni fa le aziende informatiche assumevano chiunque, bastava fosse laureato.
Ed ecco perché siamo rimasti all'età della pietra in questo campo...
Ad oggi l'informatica italiana è fatta da una manciata di grandissime realtà della consulenza e migliaia di piccolissime che fanno da satelliti... il tutto per alimentare un mercato del lavoro che ci vede ancora come nullafacenti e sopravvalutati (altrimenti non si spiegherebbe il successo del body rental).

Ah last but not least, siamo una delle poche categorie ancora senza un vero contratto nazionale.