05-11-19 12.29
Apro la porta e mi assale una nuvola di vapore, profumi speziati, risate e calore buono.
L'ho scelto un po' così, ad intuito, questo ristorante.
Avevo voglia di mangiare cinese, di stuzzicare le mie papille gustative viziate ed ormai indolenti con qualche sapore deciso, magari greve e dozzinale, ma vero ed immediato...non essendo nella mia città, ed essendo il mio smarphone ormai scarico da un paio d'ore (ah la tecnologia che ti pianta in asso proprio quando ne hai bisogno), ho lasciato che a guidarmi fosse il mio proverbiale sesto senso gastronomico, tante volte messo in dubbio da amici e parenti ma ogni volta confermato da mille prove empiriche sul campo...ma questa è un'altra storia.
Ecco, se c'è una cosa che adoro in un ristorante è il vapore profumato che ti accoglie non appena apri la porta, la promessa di tepore, pace ed una mezz'ora di piccole consolazioni gustative.
Il viso della cameriera che mi accoglie è una mela sorridente, gli arredi un po' kitsch fatti di vellutino rosso e bassorilievi al pantografo mi catapultano immediatamente negli anni ottanta, quando la lebbra dell'all you can eat era ancora qualcosa di inimmaginabile; in un attimo sono seduto al tavolo, la tovaglia di cotone bianco un po' rabberciata, ma almeno è di tessuto ed è pulita, e subito gli occhi corrono al menù bisunto e pieno di errori di grammatica, che non sai mai se siano frutto di ignoranza ed ingenuità o siano messi lì apposta per dare un ulteriore tono esotico a questa parentesi cantonese incistata in un paesotto della bassa.
La scelta, come al solito quando mangio cinese, è una delle parti più belle del pasto: scorrere tra le decine di proposte dai nomi improponibili, ipotizzare equilibri ed alchimie impossibili tra zuppe, spaghetti, funghi cinesi e verdure mai sentite prima...mettere insieme un menù fatto di nostalgia e ricerca di un accento nuovo, mai provato....scegliere, tentennare, cambiare idea, scegliere nuovamente...
La ragazza-mela-sorridente è davanti a me, il viso aperto e gioviale che sprizza allegria e pazienza, accoglie ogni ordine con brevi ammiccamenti sonori, ricapitola la comanda con quel delizioso lambdacismo che rende l'italiano parlato da un cinese così buffo e contemporaneamente esotico.
Ho tradito la solita birra cinese, tsiengtao pichiu, con un mezzo litro di rosso, forse è l'inverno che arriva o la voglia di quell'ebrezza lieve ma avvolgente che solo il vino sa dare...estraggo dalle tasche del pastrano un bell'Urania, quando sono solo non mangio mai senza leggere, non mi sembrerebbe neanche di gustare le pietanze se i miei occhi non potessero correre sulle praterie sconfinate di una pagina stampata.
Le portate si susseguono né lente né veloci, giuste...è cibo semplice, senza pretese, ma in fondo dietro tutte le mie pose da "uomo di mondo" anch'io sono così, un uomo sostanzialmente semplice che ama le cose semplici, un uomo che ha nostalgia di quando da bambino mio nonno mi portava in canna alla sua bicicletta un po' scassata a fare merenda a pane e salame in qualche osteria di campagna...
Non avrei neppure voglia di pagare il conto, non voglio abbandonare questa oasi di pace, questo vapore profumato, il viso semplice nè bello nè brutto della ragazza-mela-sorridente...non voglio tornare là fuori, ma ormai ho già preso il massimo di grappini e caffè che la buona creanza mi concedeva, non ho più scuse per trattenermi ulteriormente.
Ripongo il libro, pago, esco.
Il freddo della notte è una frustata sul viso.