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Come si traduce tutto questo in termini di “didattica del jazz”?
1) Prima di imparare il modale, va imparato il bebop. Prima di imparare il bebop va imparato lo swing. Prima di imparare lo swing va imparato il new Orleans. Bisogna ricapitolare in se stessi la parabola evolutiva del jazz. I maestri hanno fatto così, Bud Powell ha iniziato suonando stride, Marsalis padroneggia perfettamente il new Orleans.
2) All’inizio va bene semplificare, schematizzare, se no l’allievo si perde nell’enorme complessità del jazz. Ma bisogna dirglielo subito che è una semplificazione “ad usum delphini”. E non bisogna tirarla troppo lunga con gli schemini, non appena l’allievo sia in grado bisogna farlo addentrare nella complessità crescente della materia.
3) Il jazz è folklore, la cosa migliore sarebbe apprenderlo direttamente da un grande jazzista, da cuore a cuore come lo zen, essendo immersi fin dalla più tenera infanzia in un mondo di jazz. Dato che ciò spessissimo non è possibile, ci sono i dischi.
4) E coi dischi cosa ci faccio? Copio? Trascrivo? Certamente, copio e trascrivo, e per alcuni fortunati basta questo, il loro inconscio impara le “regole” senza passare attraverso una formalizzazione logica. Beati loro.
5) E chi non è così fortunato? Deve essere aiutato a capire, attraverso una progressiva analisi del materiale, il “perché” del fraseggio dei grandi.
6) Ci sono allora tre fasi:
- Ascolto, trascrizione, copiare.
- Analisi e comprensione
- Interiorizzazione del linguaggio.
Sempre con l’attenzione di non fermarsi allo “schemino” logico-formale, andando sempre a ricercare nei dischi dei grandi quelle frasi che contraddicono la regola, che mettono in dubbio le certezze, che ci fanno fare il “salto di qualità” nella comprensione del jazz. Se la realtà contraddice la regola, superiamo la regola.
7) Tutto questo partendo dal new Orleans e dallo swing, dal facile ed orizzontale. Lester Young non chiedeva quasi mai gli accordi di un brano, chiedeva la tonalità ed imparava il tema. Poi improvvisava orizzontalmente sulla tonalità base, curando di accentuare in maniera naturale le note cardine dell’accordo sottostante e di evitare (ma non sempre) le avoid notes. Ma non aveva un metodo, semplicemente conoscendo il brano “sentiva” le note giuste. È come faceva? Aveva ascoltato sin dalla più tenera età ore ed ore di musica autenticamente jazz.
8) E il blues? Indispensabile. Ma non solo il blues “jazz”, ma anche e sopratutto quello “ignorante” dei chitarristi girovaghi, o il duro blues urbano che darà i natali al RnB ed al RnR. I grandi boppers quando una frase arrivava ad un certo livello di complessità ed astrazione, “riportavano a terra” il discorso con una bella frase blues. Ascoltate Parker, Powell, Gillespie etcetera. Fanno tutti così.