L'estetica non può essere insegnata

anonimo 05-02-20 06.42
@ vin_roma
Parliamo dal punto di vista tecnico, artisticamente basta anche un accordo e ...la casa in riva al mare.
Verrebbe da chiedersi (e questa sì è filosofia della musica) se il compito dell’arte sia:

1) mostrare il bello
2) mostrare il vero
3) mostrare il vero attraverso il bello
3) mostrare il bello in quanto vero
4) tutto quanto sopra
5) altro ancora

Me lo chiedo in quanto esiste a mio modesto avviso dell’arte che mostra molto bene il vero, ma è lungi dal mostrare il bello anzi mostra l’orrido ed il sublime...
anonimo 05-02-20 06.58
Elementi di estetica jazz

1) Radicamento nel ghetto: emarginazione, sofferenza, violenza, sesso, comunità, orgoglio, diversità, inurbamento, schiavitù, ribellione, liberazione, fuga dalla realtà, individualismo, gergalità, rabbia.

2) Radicamento nell’Africa: ritmo, tribalismo, tamburi, raccontare una storia, natura, mito, totemismo, frenesia, danza, viaggio d’iniziazione, coraggio, fierezza, astuzia, agilità.

3) Modernità: rinnovamento continuo, inquietudine, parossismo, contaminazione, tecnologia, stordimento, complessità.

4) Folklore: rispetto degli “anziani”, tradizione orale, conservazione, artigianato, unicità, maestria.
anonimo 05-02-20 07.11
Quindi, per contrapposizione, ecco apparire l’anti-jazz: intellettualismo, tisicità, mollezza, effeminatezza, meccanicità, produzione in serie, vacuità, ipocrisia, rigidità etcetera...

Per riassumere in una sola parola: garbarek.
anonimo 05-02-20 07.28
Ma allora, può l’uomo bianco “fare jazz”?

Di tutta prima, parrebbe proprio di no.

Niente ghetto, niente Africa. Solo imitazione formale ed esteriore. Nel migliore dei casi, quando c’è il rispetto profondo della negritudine necessaria del jazz, assisteremo a una celebrazione di qualcosa di sostanzialmente estraneo al celebrante.

Ma è proprio così?

Credo che ghetto ed Africa possano divenire per l’uomo bianco, quando dotato della necessaria sensibilità umana, sociale e politica, dei “concetti a priori” dotati di una loro specifica concretezza.

Bisogna però uscire, allora, da una visione romantica e zuccherosa degli elementi ancestrali del jazz, lo stesso tipo di visione per cui Leopardi scriveva nelle poesie in quanto essendo gobbo le donne non glie la davano.

Immergersi, assorbire l’Africa ed il ghetto non come immagini mitiche ma estranee, quasi da film hollywoodiano, ma come archetipi viventi che si inverano nelle nostre concrete esperienze di emarginazione, anelito alla madre terra, sfruttamento e profonda umanità.

Una coscienza sociale, umana e politica che entri in profonda connessione con l’estetica degli “anziani maestri” attraverso l’ascolto vero e profondo dei loro capolavori.
anonimo 05-02-20 07.54
Come si traduce tutto questo in termini di “didattica del jazz”?

1) Prima di imparare il modale, va imparato il bebop. Prima di imparare il bebop va imparato lo swing. Prima di imparare lo swing va imparato il new Orleans. Bisogna ricapitolare in se stessi la parabola evolutiva del jazz. I maestri hanno fatto così, Bud Powell ha iniziato suonando stride, Marsalis padroneggia perfettamente il new Orleans.

2) All’inizio va bene semplificare, schematizzare, se no l’allievo si perde nell’enorme complessità del jazz. Ma bisogna dirglielo subito che è una semplificazione “ad usum delphini”. E non bisogna tirarla troppo lunga con gli schemini, non appena l’allievo sia in grado bisogna farlo addentrare nella complessità crescente della materia.

3) Il jazz è folklore, la cosa migliore sarebbe apprenderlo direttamente da un grande jazzista, da cuore a cuore come lo zen, essendo immersi fin dalla più tenera infanzia in un mondo di jazz. Dato che ciò spessissimo non è possibile, ci sono i dischi.

4) E coi dischi cosa ci faccio? Copio? Trascrivo? Certamente, copio e trascrivo, e per alcuni fortunati basta questo, il loro inconscio impara le “regole” senza passare attraverso una formalizzazione logica. Beati loro.

5) E chi non è così fortunato? Deve essere aiutato a capire, attraverso una progressiva analisi del materiale, il “perché” del fraseggio dei grandi.

6) Ci sono allora tre fasi:

- Ascolto, trascrizione, copiare.
- Analisi e comprensione
- Interiorizzazione del linguaggio.

Sempre con l’attenzione di non fermarsi allo “schemino” logico-formale, andando sempre a ricercare nei dischi dei grandi quelle frasi che contraddicono la regola, che mettono in dubbio le certezze, che ci fanno fare il “salto di qualità” nella comprensione del jazz. Se la realtà contraddice la regola, superiamo la regola.

7) Tutto questo partendo dal new Orleans e dallo swing, dal facile ed orizzontale. Lester Young non chiedeva quasi mai gli accordi di un brano, chiedeva la tonalità ed imparava il tema. Poi improvvisava orizzontalmente sulla tonalità base, curando di accentuare in maniera naturale le note cardine dell’accordo sottostante e di evitare (ma non sempre) le avoid notes. Ma non aveva un metodo, semplicemente conoscendo il brano “sentiva” le note giuste. È come faceva? Aveva ascoltato sin dalla più tenera età ore ed ore di musica autenticamente jazz.

8) E il blues? Indispensabile. Ma non solo il blues “jazz”, ma anche e sopratutto quello “ignorante” dei chitarristi girovaghi, o il duro blues urbano che darà i natali al RnB ed al RnR. I grandi boppers quando una frase arrivava ad un certo livello di complessità ed astrazione, “riportavano a terra” il discorso con una bella frase blues. Ascoltate Parker, Powell, Gillespie etcetera. Fanno tutti così.
vin_roma 05-02-20 08.03
Cyrano ha scritto:
Per riassumere in una sola parola: garbarek.

Da Coltrane a Garbarek, dal meglio al peggio, i limiti entro i quali si può dire jazz? emo
anonimo 05-02-20 08.07
@ vin_roma
Cyrano ha scritto:
Per riassumere in una sola parola: garbarek.

Da Coltrane a Garbarek, dal meglio al peggio, i limiti entro i quali si può dire jazz? emo
Perfettamente detto!
BB79 05-02-20 08.10
@ anonimo
Come si traduce tutto questo in termini di “didattica del jazz”?

1) Prima di imparare il modale, va imparato il bebop. Prima di imparare il bebop va imparato lo swing. Prima di imparare lo swing va imparato il new Orleans. Bisogna ricapitolare in se stessi la parabola evolutiva del jazz. I maestri hanno fatto così, Bud Powell ha iniziato suonando stride, Marsalis padroneggia perfettamente il new Orleans.

2) All’inizio va bene semplificare, schematizzare, se no l’allievo si perde nell’enorme complessità del jazz. Ma bisogna dirglielo subito che è una semplificazione “ad usum delphini”. E non bisogna tirarla troppo lunga con gli schemini, non appena l’allievo sia in grado bisogna farlo addentrare nella complessità crescente della materia.

3) Il jazz è folklore, la cosa migliore sarebbe apprenderlo direttamente da un grande jazzista, da cuore a cuore come lo zen, essendo immersi fin dalla più tenera infanzia in un mondo di jazz. Dato che ciò spessissimo non è possibile, ci sono i dischi.

4) E coi dischi cosa ci faccio? Copio? Trascrivo? Certamente, copio e trascrivo, e per alcuni fortunati basta questo, il loro inconscio impara le “regole” senza passare attraverso una formalizzazione logica. Beati loro.

5) E chi non è così fortunato? Deve essere aiutato a capire, attraverso una progressiva analisi del materiale, il “perché” del fraseggio dei grandi.

6) Ci sono allora tre fasi:

- Ascolto, trascrizione, copiare.
- Analisi e comprensione
- Interiorizzazione del linguaggio.

Sempre con l’attenzione di non fermarsi allo “schemino” logico-formale, andando sempre a ricercare nei dischi dei grandi quelle frasi che contraddicono la regola, che mettono in dubbio le certezze, che ci fanno fare il “salto di qualità” nella comprensione del jazz. Se la realtà contraddice la regola, superiamo la regola.

7) Tutto questo partendo dal new Orleans e dallo swing, dal facile ed orizzontale. Lester Young non chiedeva quasi mai gli accordi di un brano, chiedeva la tonalità ed imparava il tema. Poi improvvisava orizzontalmente sulla tonalità base, curando di accentuare in maniera naturale le note cardine dell’accordo sottostante e di evitare (ma non sempre) le avoid notes. Ma non aveva un metodo, semplicemente conoscendo il brano “sentiva” le note giuste. È come faceva? Aveva ascoltato sin dalla più tenera età ore ed ore di musica autenticamente jazz.

8) E il blues? Indispensabile. Ma non solo il blues “jazz”, ma anche e sopratutto quello “ignorante” dei chitarristi girovaghi, o il duro blues urbano che darà i natali al RnB ed al RnR. I grandi boppers quando una frase arrivava ad un certo livello di complessità ed astrazione, “riportavano a terra” il discorso con una bella frase blues. Ascoltate Parker, Powell, Gillespie etcetera. Fanno tutti così.
Oops!!emo
anonimo 05-02-20 08.10
@ vin_roma
Parliamo dal punto di vista tecnico, artisticamente basta anche un accordo e ...la casa in riva al mare.
è un brano che non conosco ed intuisco dove mi vuoi portare ma ti ascolto sempre se vuoi approfondire.
vin_roma 05-02-20 08.19
@Cyrano,
Una bella riflessione quella dei tuoi ultimi post.
Penso che riuscirai a stuzzicare la voglia e a stimolare il percorso giusto in qualunque "giovane" che abbia la curiosità e il desiderio di capire.
Parole che dovrebbero uscire dai limiti della 3^ o 4^ pagina di un thread...
emo
anonimo 05-02-20 08.20
@ vin_roma
@Cyrano,
Una bella riflessione quella dei tuoi ultimi post.
Penso che riuscirai a stuzzicare la voglia e a stimolare il percorso giusto in qualunque "giovane" che abbia la curiosità e il desiderio di capire.
Parole che dovrebbero uscire dai limiti della 3^ o 4^ pagina di un thread...
emo
Grazie emo
anonimo 05-02-20 08.29
Un commento sul ritmo.

Fai sentire ad un allievo qualunque una frase semplice di Clifford Brown o di Tommy Flanagan e chiedigli di ripeterla.

99 su 100 quello che il malcapitato suonerà sarà un profluvio di crome puntate tipo ta-atta ta-atta ta da venir immediatamente precipitati in un circo di provincia con Gorni Kramer alla fisarmonica.

Ovviamente nessuna somiglianza con il ritmo della frase appena ascoltata.

Sembra che in testa ai musicisti italiani ci sia un "traduttore ritmico" che inevitabilmente appena sente la parola "jazz"trasforma le crome in crome puntate. Inutile l'ascolto ripetuto. Inutile registrare il tapino e fargli sentire come la sua frase suoni diversa dal disco. Perchè, mio dio? Mistero.

Come risolvere il problema? Ne ho sentite diverse, tutte più o meno migliorano la situazione.

1) Suonare crome regolari, col tempo e l'ascolto lo swing arriverà (suggerimento di Lee Koniz).
2) Suonare come se si stesse suonando una bossanova (suggerimento di Dado Moroni)
3) Suonare crome regolari con la seconda croma accentata (suggerimento di Nino De Rose).
4) Suonare due crome come se fossero una terzina, la prima vale due e la terza uno (suggerimento di Andrea Pozza).

Funzionano? Non so. Per me ha funzionato molto il suggerimento di Dado.
BB79 05-02-20 08.31
@ vin_roma
@Cyrano,
Una bella riflessione quella dei tuoi ultimi post.
Penso che riuscirai a stuzzicare la voglia e a stimolare il percorso giusto in qualunque "giovane" che abbia la curiosità e il desiderio di capire.
Parole che dovrebbero uscire dai limiti della 3^ o 4^ pagina di un thread...
emo
Cercheremo di farne un incontro convivialeemoemoemo
MarcezMonticus 05-02-20 08.35
"Non è bello quel che è bello ma è bello ciò che piace" (cit.)
anonimo 05-02-20 08.38
@ MarcezMonticus
"Non è bello quel che è bello ma è bello ciò che piace" (cit.)
"Non è bello ciò che è bello, ma che bello che bello che bello" (cit.).
anonimo 05-02-20 08.43
posso dire che ci sono diversi livelli di musicista come del resto ci sono diversi livelli di informatico?
In informatica c'è chi sa scrivere driver, chi sistemi operativi, chi sa inventare implementare nuovi protocolli, chi chi chi, e chi invece sa prendere a livello macroscopico gli oggetti creati dagli ingegneri informatici e costruirci un database per fare un gestionale, un programma per gestire tasiere etc...
Per implementare un gestionale non è ncessario saper scrivere un dbms, o conoscere i protocolli di rete, è sufficiente conoscere in maniera più o meno approfondita l'sql.

A mio avviso in musica vi manca questa figura o sbaglio?
Chi suona da tanti anni fa il ricercatore e trova nuovi strumenti, gli altri, i musicisti standard li usano.emo

Morale: chi ne sa di più mette a disposizione le proprie conoscenze a chi ne sa di meno e vuole saperne di meno in quanto gli basta così.
anonimo 05-02-20 08.51
@ anonimo
posso dire che ci sono diversi livelli di musicista come del resto ci sono diversi livelli di informatico?
In informatica c'è chi sa scrivere driver, chi sistemi operativi, chi sa inventare implementare nuovi protocolli, chi chi chi, e chi invece sa prendere a livello macroscopico gli oggetti creati dagli ingegneri informatici e costruirci un database per fare un gestionale, un programma per gestire tasiere etc...
Per implementare un gestionale non è ncessario saper scrivere un dbms, o conoscere i protocolli di rete, è sufficiente conoscere in maniera più o meno approfondita l'sql.

A mio avviso in musica vi manca questa figura o sbaglio?
Chi suona da tanti anni fa il ricercatore e trova nuovi strumenti, gli altri, i musicisti standard li usano.emo

Morale: chi ne sa di più mette a disposizione le proprie conoscenze a chi ne sa di meno e vuole saperne di meno in quanto gli basta così.
C'è chi è bravo ad interpretare musica scritta da altri, c'è chi è bravo a scrivere musica.

C'è chi è bravo ad innovare e chi a sviluppare.

C'è chi sa arrangiare, c'è chi sa orchestrare.

C'è chi è bravo nel jazz, c'è chi è bravo nel pop.

C'è chi è virtuoso, c'è chi è un grande comunicatore musicale.

C'è chi suona il piano e c'è chi sa programmare i synth.

C'è chi è un gigante della musica, c'è chi è un onesto artigiano.

Poi c'è garbarek.emo
MarcezMonticus 05-02-20 09.07
@ anonimo
"Non è bello ciò che è bello, ma che bello che bello che bello" (cit.).
emoemoemoemoemo
BB79 05-02-20 09.38
@ anonimo
C'è chi è bravo ad interpretare musica scritta da altri, c'è chi è bravo a scrivere musica.

C'è chi è bravo ad innovare e chi a sviluppare.

C'è chi sa arrangiare, c'è chi sa orchestrare.

C'è chi è bravo nel jazz, c'è chi è bravo nel pop.

C'è chi è virtuoso, c'è chi è un grande comunicatore musicale.

C'è chi suona il piano e c'è chi sa programmare i synth.

C'è chi è un gigante della musica, c'è chi è un onesto artigiano.

Poi c'è garbarek.emo
poi...molto poi...ci sono io che non sono bravo a una ceppa...emoemoemo
ma mi diverto da morire emoemo
e poi, si sa, si deve sopravvivere in qualche modoemoemo
anonimo 05-02-20 10.06
@ anonimo
C'è chi è bravo ad interpretare musica scritta da altri, c'è chi è bravo a scrivere musica.

C'è chi è bravo ad innovare e chi a sviluppare.

C'è chi sa arrangiare, c'è chi sa orchestrare.

C'è chi è bravo nel jazz, c'è chi è bravo nel pop.

C'è chi è virtuoso, c'è chi è un grande comunicatore musicale.

C'è chi suona il piano e c'è chi sa programmare i synth.

C'è chi è un gigante della musica, c'è chi è un onesto artigiano.

Poi c'è garbarek.emo
a me Maestro basta saper suonare, se poi non colgo per intero tutta l'informazione dietro ad uno schema musicale pazienza.emo